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La domanda di Carlo:

Sono intollerante al latte ho provato il latte di riso ma non riesco a digerirlo , cioè mi viene difficile digerirlo e…come mai? Oltre al latte di riso cosa posso provare?? Grazie”

La risposta della nostra Esperta, Dott.ssa Fabiana Cardarelli:

L’intolleranza al lattosio è dovuta all’incapacità dell’intestino di scindere il lattosio, zucchero presente nel latte di mucca, di capra, di asina, nei suoi due componenti base: glucosio e galattosio assimilabili dall’intestino.

Il problema è provocato dalla carenza o assenza di lattasi, un’enzima presente sul bordo delle cellule intestinali la cui attività diminuisce passando dall’età pre-scolare a quella adulta, rendendo difficile o impossibile la digestione di latte e derivati.

In assenza dell’enzima, il lattosio passa indigerito nell’intestino ed a livello del colon viene attaccato dalla flora batterica che lo fermenta, producendo scorie e gas che causano i tipici disturbi intestinali.

In caso di intolleranza l’unica cura possibile consiste nell’eliminazione o nella riduzione del lattosio dalla dieta.

E’ possibile sostituire il latte vaccino con preparati in commercio di latte vaccino a basso contenuto di lattosio o ad alta digeribilità (zimil, accadi, linea coop, grifo e molte altre marche ma comunque tutti prodotti ad alta digeribilità) oppure come ha fatto il lettore fatto con bevande alternative al latte come latte di riso, di soia, di mandorle, di nocciole, di avena o di farro.

La bevanda a base di riso è un prodotto privo di lattosio pertanto non dovrebbe essere correlato alla sintomatologia da intolleranza al lattosio ma potrebbe essere che non è tollerato dal suo organismo per altri motivi. Consiglierei pertanto di sperimentare le altre tipologie di latte che ho riportato sopra, con il consiglio assumerle inizialmente  in piccola quantità e successivamente, una volta individuate le preferite e le meglio tollerate, alternarle.

La domanda di Sonia:

“Mi sono accorta che mia figlia, affetta da Diabete 1, mangia di nascosto i dolci. Come dovrei comportarmi?”

 

La risposta dei nostri Esperti Dott.ssa Fabiana Cardarelli e Dott. Stefano Bartoli:

Mangiare di nascosto è un comportamento frequente. La migliore risposta a comportamenti di questo tipo è, in realtà, quella di porsi le giuste domande.
La prima è apparentemente la più semplice: la bambina ha fame? Sembra scontato, ma alcuni bambini mangiano il cibo di nascosto perché hanno ancora fame e, naturalmente, si procurano ciò che più gradiscono. Suggeriamo di rifletterne con il pediatra, il diabetologo e/o il nutrizionista del Centro di riferimento per valutare correttamente questo aspetto.

La seconda domanda: la bambina mangia i dolci insieme a noi in altri momenti? Le cose che non ci vengono concesse divengono infatti ambitissime. Siamo senza dubbio d’accordo sul fatto che l’alimentazione di qualsiasi bambino non deve essere troppo ricca di grassi e zuccheri semplici, tuttavia i dolci sono cibi molto pubblicizzati ed il loro consumo fin troppo diffuso tra i bambini. È importante insegnare loro a concedersi i dolci nella giusta misura, inserendoli in momenti predeterminati dei pasti consumati insieme, in modo da poterne apprendere l’effetto sulla glicemia ed il corrispondente fabbisogno insulinico. Anche a questo proposito, è molto utile confrontarsi con i professionisti del proprio Centro.

La terza domanda riguarda il comportamento generale della bambina riguardo il rispetto delle regole e la condivisione con i genitori: la bambina nasconde altri comportamenti? Mente anche su altre cose, come ad esempio la scuola? Racconta di sé e dei suoi bisogni? Il mentire ai propri genitori è, naturalmente, un comportamento sbagliato, che può meritare una punizione appropriata, ma il tipo specifico di trasgressione rappresenta la comunicazione di un bisogno da parte della bambina che va compreso approfondendo il dialogo e creando idonei momenti di condivisione.

Considerazioni più specifiche richiederebbero di analizzare più a fondo le caratteristiche della bambina, a partire se non altro dall’età in cui sta mettendo in atto questo comportamento. Se il problema dovesse perdurare e complicare le relazioni in famiglie generando forti conflitti ed esasperando dinamiche tipo guardia e ladro… suggeriamo certamente di consultare lo psicologo del Centro per elaborare le strategie più appropriate.

La domanda di Cristina:

“Per l’intolleranza al lattosio bisogna avere le stesse accortezze che per quella al glutine? Nello specifico, bisogna stare attenti alla contaminazione crociata?”

La risposta della nostra Esperta, Dott.ssa Fabiana Cardarelli:

L’intolleranza al lattosio è molto diversa da quella al glutine, sia per gli effetti di una possibile assunzione di lattosio sia per le accortezze. E’ dovuta all’incapacità dell’intestino di scindere il lattosio, zucchero presente nel latte di mucca, di capra, di asina, nei suoi due componenti base: glucosio e galattosio assimilabili dall’intestino.

Il problema è provocato dalla carenza o assenza di lattasi, un enzima presente sul bordo delle cellule intestinali la cui attività diminuisce passando dall’età pre-scolare a quella adulta, rendendo difficile o impossibile la digestione di latte e derivati.

In assenza dell’enzima, il lattosio passa indigerito nell’intestino ed a livello del colon viene attaccato dalla flora batterica che lo fermenta, producendo scorie e gas che causano i tipici disturbi intestinali.

Può essere primaria per carenza della lattasi o secondaria a stati infiammatori generali o di malassorbimento dell’intestino (es. in presenza di celiachia non diagnosticata e trattata).

In caso di intolleranza l’unica cura possibile consiste nell’eliminazione o nella riduzione del lattosio dalla dieta.

Il lattosio non sempre deve essere completamente eliminato, perché per ogni individuo esiste un valore soglia al di sopra del quale compare tutto il fastidioso corteo sintomatologico; è difficile definire la quantità di lattosio tollerabile, è piuttosto importante imparare per prove ed errori la quantità tollerata, affidandosi anche alla lettura delle etichette degli alimenti del commercio.

Eliminare il lattosio dalla dieta non è in realtà così semplice come può sembrare, perché il lattosio non è solo il principale zucchero del latte, ma è presente in minori quantità anche nello yogurt, nella panna, nei fiocchi di latte, nella mozzarella, nella ricotta.

Sebbene il latte e gli alimenti a base di latte siano l’unica fonte naturale di lattosio, quest’ultimo si trova spesso aggiunto ai cibi preparati commercialmente; le persone con bassissima tolleranza al lattosio dovrebbero conoscere i numerosi prodotti alimentari commerciali che possono contenere anche piccole quantità di lattosio. A questo proposito, si consiglia di leggere con attenzione le etichette degli alimenti alla ricerca di latte e lattosio, ma anche di siero di latte, ricotta, derivati del latte, caseina, lattoalbumina, polveri di latte e formaggi in genere al fine di verificare la presenza di lattosio.

Molti soggetti intolleranti riescono, invece, a tollerare l’ingestione di piccole quantità di lattosio, come ad esempio quelle contenute nello yogurt, in una porzione piccola di gelato o in piccole quantità di latte .

Ricordiamo che quando si elimina totalmente il lattosio dalla dieta si ha un peggioramento nell’assorbimento del calcio ed un peggioramento della mineralizzazione ossea; per questo motivo in caso di accertata intolleranza è buona norma includere nella dieta i formaggi a basso contenuto di lattosio (es. parmigiano stagionato 36 mesi) ed assumere acqua ad elevato contenuto di calcio e qualora necessario integratori a base di calcio. Per aumentare l’apporto di calcio è bene ricordare che, in discrete quantità, è rinvenibile anche nei legumi, nel pesce, nelle noci e in alcuni ortaggi verdi.

In commercio esistono dei preparati a base di enzimi (come ad esempio Silact o Lacdigest) che si assumono insieme all’alimento contenente lattosio per facilitarne la digestione e le aziende alimentari stanno presentando una gamma sempre più ampia di prodotti a basso contenuto di lattosio (latte, panna, mascarpone, mozzarella, fiocchi di latte, ricotta, formaggi spalmabili, …)

Oggi è online l’intervista su diabete e cecliachia fatta da Diabete.net alla nostra Ilaria.

Volevamo condividerla con voi….

Due nuovi ospiti a tavola: il diabete e la celiachia – Ilaria

Ce l’avete voi una strategia?

Un piano di battaglia, uno stratagemma, un escamotage.

Ce l’avete?

Perché senza, come si fa a stare al mondo? Come si fa a mettere ordine in questo disordine? Come si tutela la quotidianità, senza che finisca a gambe all’aria?

Le cose di cui non abbiamo il controllo, che accadono e basta, che richiedono la nostra accettazione, reclamano tutto il coraggio che abbiamo in dote. E anche di più.

Le cose che accadono e basta. La malattia. La propria o quella di qualcuno che ami.

La malattia di una figlia, ad esempio, come si affronta?

Me lo racconta Ilaria, una mattina di novembre di un freddo sincero e inequivocabile.

A illuminarla, la mattina, ci pensa lei.

Questa donna che mi accoglie con sorrisi, entusiasmo e forza da vendere. Questa donna combattiva, luminosa, concreta, tenace, profonda, piena di cose da dire e dare.

Questa donna messa alla prova, che si ricorda tutte le date di un percorso tribolato e doloroso, che ha visto come protagonista Gaia, sua figlia, e la famiglia tutta, di conseguenza; perché in una famiglia ci si muove all’unisono e quello che capita a te, capita anche a me. Non ci sono alternative. Non c’è un’altra possibilità. O si sta insieme, o si sta insieme.

O si combatte insieme, o si combatte insieme. Punto.

L’8 febbraio 2010 Gaia scopre di avere il diabete.

Il 7 febbraio, il giorno prima, Ilaria mi racconta di aver passato una domenica di una semplicità perfetta, con suo marito Stefano e i suoi 2 figli (il più piccolo si chiama Nicolò).

“Mi sento così felice, che ho paura” dice a suo marito. Ché la felicità quando arriva così piena e pura, lo sappiamo già, non c’è modo di tenerla con noi per sempre.

Ilaria lo sente, lo sente forte.

Lo sente, forse, perché lavora come traduttrice, e forse perché ha imparato a tradurre anche i segni della vita; o forse, più semplicemente, perché è una mamma.

Gaia fa la pipì troppo spesso, fatica a trattenerla, deve correre in bagno.

Mentre accade questo, casualmente, Ilaria incontra due mamme che le raccontano dei rispettivi figli con diabete e celiachia. Forse è un caso…ma lei, l’abbiamo detto, è una che traduce e che al caso non ci crede.

Fanno gli esami a Gaia. “Ma non preoccuparti, amore mio, non sarà niente” si dicono stringendosi.

E invece è qualcosa. È diabete. È ospedale. È ricovero urgente. Sono medici e infermieri sul corpo di sua figlia; sul suo corpo pieno di tubicini e di verità che non sono più quelle di prima.

Mi racconta Ilaria che nel tragitto verso l’ospedale – con le parole del medico di base, che pesano come macigni, dopo aver misurato la glicemia “Andate immediatamente. Avviso che state arrivando” – guarda l’immagine di sua figlia riflessa nello specchietto retrovisore.

No, le verità non sono più quelle di prima.

Ilaria non sa quali siano, Gaia non chiede.

Una cosa è certa, questa è la fine della prima vita di questa famiglia e l’inizio di una seconda.

E l’inizio di una seconda, perché non c’è fine senza inizio e viceversa.

“Cos’ è cambiato?” le chiedo

“Molto, moltissimo. Ma una cosa è certa: non controlliamo la malattia, ma abbiamo controllo sulla nostra qualità della vita e io ho voluto, con tutte le mie forze, che fosse alta.

Ho voluto che fosse una gioia mangiare insieme, anche dopo che ci hanno detto che Gaia era risultata positiva alla celiachia.”

Perché dentro all’atto di dare da mangiare, ci passa l’amore più ancestrale e antico che ci sia.

Ti do da mangiare perché tu cresca, perché tu sia forte, perché tu possa stare bene, essere felice, avere gambe robuste e spalle solide per affrontare il mondo.

Gaia non può più mangiare come prima e allora tutta la famiglia cambia alimentazione con lei.

Stefano e Ilaria non hanno dubbi a riguardo.

O si combatte insieme o si combatte insieme. Punto.

Si toglie tutto dalla cucina. Tutti quei cibi tanto amati e conosciuti.

Via tutto. Si ricomincia.

I primi 3 mesi sono un inferno. Prodotti che non piacciono, gusti che non si riconoscono, il diabete da gestire, l’umore che crolla.

Come la terra sotto i piedi, quando la quotidianità finisce gambe all’aria, perché manca una strategia e manca per davvero.

Ma io davanti a me ho una guerriera. Una mamma con un cuore grande così, che per la gioia dei suoi figli combatte come una leonessa. E la strategia la trova.

È un corso di cucina, poi un incontro per capire come contare i carboidrati, poi è un quaderno dove comincia a scrivere le ricette, chiedendo ai suoi figli di giudicarla e trasformando un limite in un gioco.

La mamma è anche uno chef; i figli sono anche esperti culinari.

Questa è la seconda vita di una famiglia, ed è fatta di piatti eccezionali, prelibati, gustosi, sani e buoni.

Questa è la seconda vita di una famiglia, che grazie a un gioco ha creato un libro, “Uno chef per Gaia”, con ricette con o senza glutine e con o senza zucchero.

Un libro, che nella prefazione di Massimo Bottura, è descritto come “una dichiarazione d’amore” e lo è.

Lo è già dalla copertina che ritrae quattro persone e un cavallo, Pandoras, il cavallo di Gaia, il sogno di Gaia.

Quattro persone che non si sono lasciate sopraffare, che si sono sapute ricreare, modellare, che hanno avuto paura e l’hanno vinta, che hanno scelto di parlare chiaro e di essere sinceri su quello che stava accadendo; che hanno scelto di non edulcorare, ma sono stati in grado di non privarsi di pace e gioia.

Attorno a questa tavola, hanno accolto due nuovi ospiti: il diabete e la celiachia e sapete cosa? hanno comunque vinto loro.

 

Autrice: Patrizia Dall’Argine

I suoi prodotti ci hanno deliziato durante il nostro “Aperitivo In…Tollerante” al Gola Gola Festival, lei è Elisa Pedrazzoli, da vent’anni la responsabile della linea biologica “PrimaVera Bio” del Salumificio Pedrazzoli, azienda mantovana di salumi nata nel 1951. Convinta fautrice del biologico, ha creduto fortemente nei valori ad esso associati quali il rispetto per la natura e per l’ambiente, così da produrre dei salumi bio buoni ma che fossero anche sani.

Le caratteristiche del salume bio

Elisa, partiamo dall’inizio: Quando è nata la linea bio di Pedrazzoli e soprattutto cosa ti ha spinta in questa direzione?

Mi sono sempre interessata al mondo del bio e dell’agricoltura biologica. L’idea di produrre salumi bio è nata giusto 20 anni fa quando un allevatore si presentò da noi in azienda con un centinaio di suini bio. Da quel momento inizia quella che considero ancora oggi una bellissima e quanto mai affascinante avventura da pionieri assoluti in Italia: una linea di salumi biologici. Dopo diversi confronti con l’ente di certificazione (non esisteva allora né un disciplinare né una legge per le produzioni animali) nacque il primo prodotto in Casa Primavera: un salame, che presentammo, quasi timidamente, al Sana – il salone del bio a Bologna – nel settembre 1996. Da lì siamo partiti e oggi la linea Primavera conta circa 60 prodotti.

Quali sono le caratteristiche di un allevamento bio di suini ?

L’allevamento biologico è strettamente connesso con il territorio. Per allevare un maiale bio, ma anche una gallina o un bovino, bisogna avere un terreno coltivato a biologico; il mangime deve essere bio e deve provenire in massima parte dall’azienda stessa. Tutto questo può sembrare ovvio: in effetti è quello che succedeva una volta, mentre in realtà è rivoluzionario rispetto a ciò che accade normalmente oggi, dove con la specializzazione dei processi si è distinto ogni ruolo e quindi c’è uno scollegamento tra chi coltiva, chi prepara i mangimi e chi alleva. Il legame stretto tra terreno e allevamento, la proporzione tra i due elementi, che indica i limiti di capi allevati per ettaro di terreno, è imposto al metodo biologico anche perché si abbia modo di smaltire in modo corretto e sostenibile i liquami.  Per questo dove si possono allevare in modo convenzionale 1000 animali il biologico ne alleva solo 100. Nell’allevamento biologico i suini hanno più spazio, con accesso ad ambienti esterni, a zone dove poter pascolare.

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Quindi c’è un effetto evidente sul benessere degli animali?

Certamente. Vivendo in ampi spazi, i maiali rischiano molto meno di ammalarsi. Devono comunque essere utilizzati trattamenti omeopatici o fitoterapici per le cure degli animali. Inoltre, sono vietati i trattamenti preventivi effettuati normalmente per aumentare la resa.
Per quanto riguarda invece il benessere di noi consumatori: ci sono anche dei benefici sul benessere delle persone nel preferire alimenti biologici rispetto a quelli cosiddetti convenzionali?
Da fautrice del biologico in prima battuta ti rispondo senz’altro di sì, perché per me fare bio e mangiare bio significa anche pensare bio, vale a dire credere in una serie di valori, nel rispetto della natura, degli animali e del prossimo che a mio parere influenza positivamente anche il benessere della persona in generale!
Ma, a onor del vero, non c’è a tutt’oggi una dimostrazione scientifica certa che gli alimenti biologici abbiano, ad esempio, un valore nutrizionale maggiore rispetto ai corrispondenti alimenti convenzionali, anche perché gli alimenti da comparare sono tanti, così come sono tante le variabili in oggetto. Alcuni studi hanno però evidenziato nei prodotti biologici, rispetto ai corrispondenti prodotti convenzionali, una maggiore concentrazione di componenti positivi (ad esempio lo iodio nel latte, l’acido linoleico coniugato e gli acid grassi polinsaturi nella carne bovina, gli acidi grassi omega-3 nella carne di pollo, le sostanze fenoliche nel frumento), o una minore concentrazione di componenti negativi (ad esempio le amine biogene nel cacao), ma attualmente non è possibile generalizzare.

I salumi biologici quali caratteristiche hanno? Contengono allergeni o sono adatti a tutti? Celiaci compresi?

Il plus che vorrei mettere in evidenza è questo: l’uso dei conservanti/additivi è strettamente limitato  rispetto ai salumi ottenuti con metodo convenzionale
Noi di Pedrazzoli abbiamo scelto di eliminare i conservanti nella linea “Primavera Bio” dei prodotti stagionati mentre abbiamo scelto di utilizzare meno conservanti rispetto a quelli previsti dal disciplinare del biologico per la linea dei cotti e mortadelle.
Questo perché l’uso di additivi/conservanti, i nitriti e nitrati, nei prodotti cotti, è allo stato attuale indispensabile per consentire la produzione di alimenti che, altrimenti, potrebbero costituire un rischio per la salute del consumatore o per garantire la tipicità del prodotto. Stiamo tuttavia lavorando per ridurre sempre più la già minima percentuale di conservante a favore di un prodotto sempre più pulito. E’ l’obiettivo che ci siamo dati.
I nostri prodotti sono poi tutti senza derivati del latte e senza glutine, quindi adatti assolutamente anche ai celiaci, che possono consumarli in tutta tranquillità senza dover rinunciare al gusto.

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Grazie Elisa, ci hai chiarito molti aspetti del mondo dell’allevamento bio e dei salumi bio. E adesso un tuo pensiero finale.

Grazie a voi per questa opportunità! Vedi per noi è importante poter informare e far capire ai nostri consumatori i plus dell’allevamento biologico per la produzione dei nostri salumi. Per noi il cibo deve essere una “estensione della natura”, quindi il rispetto per l’ambiente e per gli animali fa parte del nostro modo di pensare e del nostro agire quotidiano, perché chi fa bio deve “essere bio”! Ecco perché il 20 di marzo scorso in occasione del nostro ventennale abbiamo lanciato il blog www.passione.bio che vuole essere un canale aperto di informazione ma anche di confronto con i nostri consumatori.

La domanda di Isa:

“Sono una nonna che per amore di sua nipote ha imparato a cucinare senza glutine.
La celiachia le ha provocato anche una rilevante carenza di ferritina, corretta con integratori, che però io cerco di aiutare anche con l’alimentazione.
Ho letto che il prezzemolo può essere una buona fonte di ferro.
E’ corretto? Cuocendolo perde le sue proprietà? Ha degli effetti collaterali? Ha qualche impatto sulla glicemia?
Grazie molte!
Nonna Isa”

La nostra Esperta, la Dott.ssa Sonia Toni risponde:

Carissima Nonna Isa,
bravissima per dedicare a sua nipote le sue abilità culinarie affinate anche per la cucina senza glutine.

Come mio consiglio sulla sua domanda, non eccederei con l’utilizzo del prezzemolo per compensare una carenza di ferro (sicuramente di una certa rilevanza se la ferritina è bassa).

I vegetali, in particolare quelli a foglia verde, pur contenendo ferro,  contengono sostanze (ossalati e acido fitico) che limitano l’assimilazione e quindi la biodisponibilità del ferro.
Meglio quindi utilizzare i legumi che hanno un ferro maggiormente biodisponibile.
Ciò che conta, non è tanto la quantità  assoluta di ferro, ma la sua biodisponibilità, cioè la percentuale effettiva che il nostro organismo riesce ad assorbire ed utilizzare.

Gli spinaci, ad esempio, sono piuttosto ricchi di ferro, ma il minerale è complessato insieme ad altre sostanze che ne limitano fortemente l’assorbimento.

Nello specifico, il prezzemolo ha un contenuto in ferro di 4,5 mg per 100 grammi, più basso rispetto ad esempio al cacao amaro (13,8) o alle lenticchie (7,6) o alle patate .
Gli alimenti maggiormente ricchi di ferro biodisponibile sono le carni rosse, il fegato, le ostriche
In ogni caso in presenza di una carenza di ferro è utile impiegare integratori che hanno un contenuto noto del minerale carente e di cui soprattutto è prevedibile l’assorbimento.

Prezzemolo

Per altre domande, clicca qui.

Dopo aver assistito allo showcooking tenuto da Ilaria e Francesca Morandin durante il Gola Gola Festival, Gigi è rimasto incuriosito dall’utilizzo della “Chia” nella panificazione. Per questo ci è arrivata una sua domanda di approfondimento indirizzata alla nostra Esperta Dott-ssa Francesca Morandin.

Come utilizzare la chia nella panificazione

“Ho seguito con molto interesse, sabato scorso, il vostro show cooking al Gola Gola Festival. Mi ha molto incuriosito l’utilizzo della chia nel pane, e avrei alcune curiosità:
– quali sono le proprietà nutritive della chia?
– perché e come e per quanto tempo va messa in ammollo prima di miscelarla all’impasto delle farine? Va poi miscelata nell’impasto con la sua acqua di ammollo?
– quanta chia (“a secco”) va utilizzata in proporzione alle farine? (su una confezione di chia ho letto la dicitura: non consumare più di 15 g di chia al giorno. E’ vero? Perché?)
– la chia ha effetti (spero benefici) sulla glicemia?
Grazie molte per l’attenzione!
Gigi”

 

Ecco la risposta di Francesca:

Il pane che io e Ilaria abbiamo preparato per il Gola Gola Festival conteneva semi di Salbachia che sono stati messi a bagno 4-5 ore prima di usarli, in acqua calda a 50° C (50 g di semi con 250 g di acqua). La Chia, infatti, ha la capacità di creare un gel particolare che ho aggiunto durante la lavorazione del pane al 20% sul peso dello sfarinato senza glutine (200 g di gel di chia 1 kg di sfarinato senza glutine). La Chia così pregelatinizzata conferisce al pane maggior fragranza alla crosta, profumi, sapori oltre che aumentare notevolmente i valori nutrizionali del pane.

Più nello specifico, la Salbachia è una selezione di 2 varietà di Chia di colore bianco, tra le circa 80 presenti in natura, particolarmente densa di proteine (22/25%) ed omega3 (20/22%) ed è l’unica Chia registrata nel mondo con provata e garantita costanza nutrizionale, soprattutto riguardo agli acidi grassi essenziali.

Questi semini sono un ingrediente strategico per molti prodotti (soprattutto da forno) sia per le caratteristiche nutrizionali sia per quelle tecnologiche: assorbono acqua fino a 14 volte il loro peso gelificando e questo li rende un buon legante ed addensante (anche come sostituto dell’uovo). Inoltre, allungano la shelf life dei prodotti. Perfetti per preparati da forno come pane, pizza e dolci, vegani e gluten free, ma anche per tutti gli altri prodotti con “velleità” salutistiche e non solo.
Questa tipologia di Chia è stata oggetto di studio al Risk Factor Modification Center, Università di Toronto, Canada, dal Dr. Vladimir Vuksan , Professore Associato di Endocrinologia e Scienze della Nutrizione. Uno studio a lungo termine (12 settimane), ha dimostrato che è stata in grado di ridirre la pressione sanguigna,pvvero  il principale fattore di rischio cardiovascolare nei pazienti con diabete di tipo 2
Ed ancora, riduce i livelli post- pasto di glucosio nel sangue e di insulina nel plasma, rispetto al controllo ed ha dimostrato di essere efficace rispetto alla riduzione dei fattori dell’infiammazione e di coagulazione.

Potete provare il pane bianco e il pane nero aggiungendo i semi di chia

Durante i tanti incontri tenuti da Ilaria e Francesca Morandin avete sentito parlare dell’ormai famoso “Zero burro”, un’emulsione a base di fibra vegetale, acqua e olio che permette di sostituire il burro e preparare impasti ugualmente gustosi. Il tutto con un contenuto di grassi ed un apporto calorico ridotti.

Tante ricette che vi consiglieremo prevedono l’utilizzo dello “o burro” quindi cerchiamo di capire più a fondo di cosa si tratta.

Abbiamo scelto di spiegarvelo attraverso le parole della nostra tecnologa alimentare Francesca Morandin!

Burro o Zero Burro?

Lo “0 burro” è una fonte importante di fibra estratta in modo naturale dall’amido. La sua caratteristica è di poter essere impiegato per creare emulsioni con una palatabilità simile a quella del burro, semplicemente a partire da acqua e olio che vanno a sostituire grassi animali e margarine nei prodotti da forno.

In sintesi, è una fibra adatta ad una alimentazione vegana e vegetariana.

ZEROBURRO-uno-chef-per-gaia

CREA EMULSIONI CON CONSISTENZA SIMILE AL BURRO E ALLA PANNA MONTATA

Lo “0 burro” è fibra vegetale. Questa fibra è in grado di creare emulsioni stabili interagendo con le fasi dell’acqua e dell’olio. Negli impasti di prodotti da forno sostituisce sostanze emulsionanti come le uova. In questo modo si possono creare nuove formulazioni di dessert arricchiti di fibre, soffici e cremosi con un contenuto di grassi ridotti, ma soprattutto si possono sostituire grassi idrogenati e margarine con oli vegetali spremuti a freddo.

Lo “0 burro” è adatto a chi vuole creare dolci e preparazioni vegane, senza lattosio e uova.

Consigli di impiego

Per preparare emulsioni olio in acqua, è importante miscelare con un frullatore ad immersione l’acqua con la fibra , per poi aggiungervi l’olio desiderato continuando a frullare finché non si sarà ottenuta la giusta consistenza.

Per ottenere emulsioni più compatte è sufficiente aumentare la quantità di 0 burro nell’emulsione.
Tabella di dosaggio

Esempio di utilizzo: per creare un’emulsione con consistenza “tipo burro”.

In entrambe le formulazioni riportate in tabella si ottiene la stessa palatabilità, la sola differenza è l’apporto calorico derivante dall’olio che, come si osserva ,può essere modulato aumentando il dosaggio del 0 burro e di acqua.

Dose di 0 burro Acqua Olio
20 g 300 g 700 g
40 g 500 g 500 g

L’emulsione ottenuta può essere impiegata in paste frolle o dolci lievitati come brioche, croissant o panettoni

Consigli di utilizzo nei diversi impasti

IMPASTI Emulsione al 50% di olio Emulsione al 70% di olio
Pasta frolla 25 %circa in meno rispetto al burro in ricetta 20 % circa in meno rispetto al burro in ricetta
Brioche lievitata tipo veneziana Stessa quantità del burro 10 % circa in meno rispetto al burro in ricetta
Bigné 10 %circa in meno rispetto al burro in ricetta 15% circa in meno rispetto al burro in ricetta
Dolce lievitato tipo panettone 50 %circa in meno rispetto al burro in ricetta 50 %circa in meno rispetto al burro in ricetta

Vuoi saperne di più?

Clicca qui http://shop.farinaearte.it/senza-glutine/zero-burro-da-gr-800

La domanda di Clara:

“Gentilissime,

di recente in una pasticceria esclusivamente senza glutine, con proprietari molto attenti alla qualità delle materie prime, ho scoperto che spesso per i dolci di loro produzione utilizzano l’OLIO DI VINACCIOLI, OSSIA I SEMI DI UVA.

Questo prodotto, di cui non conosco nulla, mi ha molto incuriosita.

Potete spiegarmene le proprietà, per quali preparati é meglio utilizzarlo, se ha effetti sulla glicemia…..

Grazie molte”

La nostra Esperta, la Dott.ssa Francesca Morandin risponde:
L’olio di semi di uva, meglio conosciuto come olio di vinaccioli, rappresenta un’ottima soluzione in cucina nelle preparazioni per celiaci e diabetici proprio in virtù delle sue numerose proprietà nutrizionali e caratteristiche organolettiche.
I principali acidi grassi che lo compongono sono: l’acido linolenico, palmitico e stearico.

La sua composizione pertanto è molto simile all’olio di semi di girasole.

L’olio di vinacciolo inoltre è molto ricco in steroli, tocoferoli, polifenoli sostanze antiossidanti e omega-6 che hanno proprietà ipocolesterolemizzanti. In breve aiutano ad abbassare il colesterolo cattivo nel sangue.

Queste sostanze, molto importanti per la nostra salute, si alterano facilmente con il calore, per cui è preferibile usare quest’olio a crudo come condimento.

L’olio di semi d’uva raffinato si distingue dagli altri oli per il suo elevato punto di fumo (190-210), quindi adatto anche per le cotture prolungate e le fritture.

olio di vinaccioli

E’ molto importante però assumerlo nelle giuste quantità in quanto è ricco in Kcal (860 circa per 100 g), ma soprattutto perché ricco di omega-6. Qualora la dieta alimentare non fosse bilanciata con gli omega-3, si introdurrebbero troppi eicoesanoidi, sostanze che se assunte in elevata quantità possono influenzare negativamente il corretto funzionamento dei sistemi immunitario, renale, cardiovascolare e sulla coagulazione del sangue.

In commercio se ne trovano di molte marche a prezzi diversi, il mio consiglio è di sceglierlo di ottima qualità, possibilmente consumarlo a crudo e nelle giuste quantità per sfruttare al meglio tutte le sue ottime proprietà.

Per quanto riguarda gli effetti sulla glicemia, si comporta esattamente come gli altri oli di buona qualità.

A parlare oggi è la nostra esperta Dott.ssa Francesca Morandin che tratterà un tema spesso di difficile comprensione: cosa sono esattamente i germinati e perchè usarli nelle preparazioni senza glutine?

Un argomento importante e ampio che necessita di un approfondimento, quindi…lasciamo la parola a Francesca!

La germinazione è un processo attraverso il quale il cereale, oppure il legume, viene immerso in acqua ad una temperatura controllata e lasciato appunto germinare. Una volta apparsa la radichetta il processo viene interrotto.

In questa particolare fase, cereali e legumi sono ricchi di proprietà nutrizionali quali vitamine, proteine, sali minerali e fibre biodisponibili per l’organismo: in altre parole, il nostro fisico assimila tutto quello che mangiamo.

Il processo di germinazione sembra renda le proteine termolabili alla temperatura quindi resistenti alla cottura.
E credo che Ilaria e la piccola Gaia lo possano confermare abbassa l’indice glicemico!!
Esistono dei BRICK di cereali e legumi germinati (Molino Quaglia) tra i quali troviamo la farina di pisello, la farina di ceci, e quella di grano saraceno.

E’ possibile scegliere la farina germinata che più si preferisce, con la consapevolezza che, oltre alle caratteristiche nutrizionali positive, presentano altre peculiarità.

Vediamole insieme:

  • Il colore del pane risulta perfettamente dorato, compensando il colore bianco dato dagli amidi.
  • Apportano differenti sapori a seconda della tipologia di cereale o legume germinato impiegato: pisello, cecio o grano saraceno.
  • Migliorano notevolmente l’alveolatura del pane senza glutine. Essa infatti risulta molto più irregolare, meno compatta e con la presenza di grandi alveoli.
  • Gli impasti risultano meno appiccicosi, più facilmente lavorabili, e durante la lievitazione mantengono la forma data, senza necessariamente impiegare stampi per la cottura.
  • Il pane diventa molto più morbido, senza nessuna percezione di “sabbiosità” in bocca dovuta agli amidi.
  • I prodotti da forno aggiunti di prodotti germinati risultano avere una shelf-life più lunga rispetto a quelli ottenuti senza l’aggiunta di tali cereali.

Il mio consiglio è quello di aggiungere agli impasti di pane ma anche zuppe e arrosti una quantità di farina germinata che può variare da un minimo del 2% a un massimo del 10%.

Vi sconsiglio, inoltre, di utilizzare quantità superiori in quanto poi possono aumentare notevolmente il sapore caratteristico dei legumi germinati, soprattutto di pisello e di ceci, ritrovandolo poi nel prodotto finito.